T­orino, ottobre 1961. Avevo certo visto altri film, che mi hanno colpito molto. E che avrebbero continuato ad “agire” in me – vedendoli e rivedendoli nel corso dei decenni. Da Sentieri selvaggi a La bella addormentata nel bosco alle serie di telefilm che amavo: Zorro, Ivanhoe, i più sofisticati e imperdibili Ai confini della realtà o Alfred Hitchcock Presents. Gli anni Sessanta sarebbero stati accompagnati – prima del ’68 – certo dalla saga ad appuntamenti annuali 007: ma anche dai lungometraggi di Chaplin, da Buñuel e dall’ermetico Antonioni della tetralogia (non capito da mio padre: sfida estetica e politica anche per questo); o dagli indimenticabili esordi pasoliniani, La ricotta e il Vangelo.

Ma fu solo durante Italia ‘61, al “Circarama – progettato dalla Disney come molte delle tecnologie che ci hanno accompagnato al XXl secolo e voluto dalla Fiat come omaggio non banale ai primi cento anni dell’Unità italiana – che ho partecipato a quella che oggi potremmo chiamare una esperienza aurorale di “expanded cinema”: la quale ha molto segnato il mio percorso successivo. Una “installazione”, probabilmente: un padiglione circolare aperto alla luce del sole e in vista della struttura modernista del Palazzo a Vela di Nervi; una visione circolare, in piedi e in movimento, in Technicolor e in stereo elettronico, di 11 schermi panoramici per 11 proiettori 35mm in contemporanea, 32 metri a 360° per 12 metri di altezza. Una esperienza – inedita di “sala” come di percezione e audio-visione –  indimenticabile: matrice di tanto di più.

Mi ha segnato, devo dire, come la prima sequenza (e l’ultima) di Citizen Kane: quel cartello sulla panoramica verticale in discesa, quel “No trepassing”, che mi impressionò: perché dichiarava che anche il cinema, con tutti i suoi dispositivi espositivi e le raffinatezze espressive dei suoi linguaggi, ancora oggi non può, compiutamente, attraversare il senso della realtà o raccontare il di là da sé stessi dell’uomo.