Non avevo mai visto nulla come il finale di Blade Runner, almeno a 11 anni quando fui accompagnato dai miei genitori al cinema. Il cattivo, che portava il mio stesso nome di battesimo, invece di venir ucciso all’ultimo momento dall’eroe, prevale. Ma decide di salvare la vita al suo antagonista e dargli una lezione di umanità. Si siedono a parlare sotto la pioggia, nella notte all’aperto. Il salvatore muore, perché chi lo ha creato e programmato gli aveva attribuito una data di scadenza. Il buono, grato ma senza particolari meriti per essere sopravvissuto, se ne va sulle sue gambe e avrà davanti a sé una lunga vita.

In quell’esatto momento il cinema mi è sembrato poter essere al tempo stesso il luogo dell’eterno ritorno (il racconto codificato dei generi: fantascienza, noir, azione) e il luogo della libertà più imprevedibile (il ribaltamento del senso, il finale che non potevo prevedere). L’immagine che non si dimentica è l’immagine della passione. 

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