Paestum, carovana di compaesani al sole, l’ennesimo numero del venditore di pentole (a bordo di un pullman rigorosamente “gran turismo”) e -ops!- la fede nuziale che scivola nel gabinetto dell’Autogrill, con tentativo di recupero per mezzo del matitone-souvenir accaparrato poco prima. Era un atto mancato quello della protagonista, e le avrebbe pure cambiato un po’ la vita, ma non lo potevo sapere in quella sala cinema improvvisata, gongolante tra mamma e nonna, con quei sandaletti di cuoio ai piedi che tanto dispiacevano ai miei compagni di scuola. C’era molto dell’immaginario nazionale in quei minuti, la mia fascinazione per i luoghi di transito, le cose che non cambiano mai fuori dal finestrino, il sentirsi di colpo parte di un tutto; eppure, in quella sera di metà luglio, su quelle sedie tutta plastica che se ti dondoli troppo è un disastro, a finire nella scatola dei ricordi più cari fu quella: la scena di Rosalba che finge di voler recuperare ciò che aveva già scelto di perdere.