Ho visto Routine Plesaures di J.-P. Gorin nel dicembre del 1986. Di Gorin e del suo cinema non sapevo niente. Sapevo solo che il suo era uno dei quindici film che come componente della Giuria degli Studenti del 27° Festival dei Popoli dovevo vedere. Almeno se volevo godermi il privilegio delle giustificazioni a scuola per una settimana. Il che non era sempre una passeggiata.  Stravolto dai troppi film il mio vicino di sedia russava già della grossa (Lando dai, svegliati, ti sentono!). Ai titoli di testa lo seguivo ormai ad un’incollatura. Poi (sbam!) quel film mi colpì in pieno come un pugno. Filmare gli incontri di un gruppo di appassionati di trenini elettrici, da qui parlare di paesaggio nonché dell’interpretazione che ne dava  un noto pittore e recensore americano, per arrivare  infine a parlare di cinema?… Ma come faceva? E quei passaggi dal b/n al colore! E che grazia! che humour! Che ritmo! Basta: era deciso. Il cinema era il mio mondo ed anche io dovevo salire su quel treno.