La prima visione di questo piccolo gioiello surrealista è stata per me folgorante. Come ogni spettatore, di fronte a quel susseguirsi di immagini apparentemente sconnesse ma decisamente potenti nel loro farsi epifania dello sguardo, non ho potuto che godere della grandiosità espressiva di un cinema nuovo e diverso. Cresciuta come spettatrice insaziabile, con un bisnonno esercente cinematografico e una nonna fotografa, ma condizionata da una formazione di impostazione letteraria, negli anni universitari i film studies sono stati rivelatori della superiorità semiotica dell’immagine sulla parola. E niente meglio del cinema di avanguardia poteva insegnarmi la forza allegorica e insieme la capacità di provocare un impatto morale sullo spettatore di immagini che sanno farsi aggressive, perturbanti, addirittura offensive per l’epoca che le ha prodotte.

Mentre Buñuel uccideva (anche per me)  “il chiaro di luna”, quel taglio dell’occhio segnava definitivamente un nuovo modo di guardare le cose, cambiando contestualmente il mio approccio alla visione e dando forma ai sogni della mia vita.