I film di Derek Jarman sono memorabili per i loro colori audaci e brillanti, dalla croce rossa della Union Jack di Amyl Nitrate in Jubilee allo schermo fisso e straziante in Blue. Quello che è più impresso nella mia memoria di Edoardo II, però, è il grigio squallido delle mura del castello. Un grigio soffocante che, in contrasto con il rapporto tra Edoardo e Gaveston, rappresenta una repressione irremovibile. È certamente un’opera d’arte, ma non è questo il motivo principale che lo rende importante per me: è piuttosto la forza con cui ribalta i canoni torreggianti della letteratura e della storia, spingendoli nelle mani delle persone queer. Jarman si serve di palesi anacronismi e della musica pop, facendo ballare in drag il giovane principe con un walkman o creando un esercito “reale” composto da attivisti dei diritti gay di OutRage. Edoardo II mostra la capacità politica del cinema di parlare a tutti i tipi di culture, ridefinendo i regimi di visibilità delle nostre comunità.