«Jack Torrance pensò: Piccolo stronzo intrigante». Ancora oggi ricordo perfettamente la frase con cui si apre il romanzo Shining. Non avevo mai letto Stephen King e la me quattordicenne rimase colpita dalla sfrontatezza di quel cominciamento (al limite tra il diretto e l’indiretto). Quando successivamente vidi il film di Kubrick, ero alla ricerca di qualcosa che rimandasse alle parole e invece sono stata investita dal fulgore dell’immagine. Come King, mi sentii tradita, ma sotto le macerie della delusione cominciò a riverberare una nuova inquietudine. Non riuscivo a smettere di pensare alla scena del colloquio di assunzione, che traspone l’incipit del romanzo: a quella stanza angusta, piena di luce, che si apre in uno spazio impossibile, a Jack (Torrance/Nicholson) che reagisce all’orrore con una risata spavalda. Il suo volto continua a sfumare nella dissolvenza incrociata a seguire e mi lascia con un dubbio enorme: quale dei due Jack ho riconosciuto per primo in quel folle sorriso?!