Era il 1994: divoravo letteratura, recitavo in una compagnia teatrale, lavoravo al cineclub, macinavo musica, sfogliavo cataloghi d’arte. Affascinata da tutto, non mi identificavo in niente. Volteggiavo entusiasta tra le lezioni di cinema e di teatro. Poi c’erano le ore che mi attraevano di più, tenute dall’allora ricercatrice Sandra Lischi. Nella “mansarda” del dipartimento si studiava la “videoarte”, e in quel mondo ritrovavo la sintesi delle mie passioni. Vedere il video di Alain Escalle D’après le naufrage fu come un’epifania. C’era tutto in quei 9’: un naufragio solo evocato (della vita? Dell’anima?), la performance immersa in paesaggi onirico-pittorici, i riferimenti cinematografici, una musica che perforava gli occhi. Silenzi, pause, movimenti. In quella manciata di minuti c’erano tutte le arti e tutto quello che cercavo fuori di me: una dimora dell’anima. Erano finite le esitazioni: era verso quella “casa” che sentivo di dover andare. Quella sarebbe stata la mia strada.