Non sono certo di quando vidi Il corridoio della paura (S. Fuller, 1963). Sicuramente prima dell’adolescenza, in un palinsesto RAI, che nella sporadica programmazione di film associava Brigadoon (V. Minnelli, 1954) e L’invasione degli ultracorpi (D. Siegel, 1956), Scarpette rosse (M. Powell/E. Pressburger, 1948) e Cronaca di un folle (K. Zeman, 1964).

Mi era capitato di vedere film noir, ma nessuno così sconcertante: in un universo manicomiale che preconizza l’infermiera omicida di Il grande Uno rosso (S. Fuller, 1980) i sogni si impongono sui corpi, generando immagini stratificate, il registro visivo del noir è intervallato da inspiegabili immagini documentarie, l’indagine porta il detective alla perdizione. Un mondo alla rovescia, in cui il registro realistico del cinema disvela la propria faccia fantasmatica. Letteralmente, la rovescia come un guanto. D’altra parte, Bazin non si preoccupava delle mummie?