Schermo nero. La voce di Fini Straubinger descrive ciò che ella “vede” davanti a sé: un sentiero che si snoda attraverso un campo incolto sorvolato da nuvole in movimento. L’immagine si configura davanti ai nostri occhi: non è un’immagine nitida, la pellicola è invecchiata. Tutto appare come un lontano ricordo sfuocato. Poi lo schermo torna nero. Fini racconta di un saltatore con gli sci, della libertà che questi emana librandosi nell’aria. E il mondo interiore della donna – sordocieca ormai da molti anni – torna a prendere audiovisivamente forma davanti a noi, chiamati – con la nostra vista e il nostro udito – a completare l’esperienza sensoriale della protagonista. E poco importa se quel ricordo sia “davvero reale”. È così che si apre Paese del silenzio e dell’oscurità, ed è dal fascino di questa scena che nacque in me il desiderio di lavorare – per la mia tesi di laurea triennale – su alcuni documentari di Herzog, e sul concetto di verità estatica su cui la loro estetica si fonda.