Supercinema o Nuovo Lido: le sale estive si chiamavano così. Due mondi. E un manifesto appeso in piazza, solo una macchia azzurra se non ti avvicinavi: il mare, una donna che nuotava e sotto una presenza mostruosa, parzialmente coperta dall’etichetta sgargiante STASERA 22.30. Compresi violentemente la distanza dal familiare chiacchiericcio e dalle risate, con il ghiaino che entrava nei sandali e lo schermo troppo lontano. Questa sala al chiuso, piena di fumo, il tetto che si apriva sulla notte, facendo entrare le stelle e la salsedine, mi gettarono bambina nel buio mare spielberghiano: il fondo marino che corre con le note di John Williams, il party in spiaggia, il bagno nudi, l’attacco. E aprirono un mondo: infrangere i divieti, sgattaiolare in sala con gli amici più grandi, guardare con occhi diversi. Poi via di corsa in bicicletta nella pineta improvvisamente minacciosa; l’emozione indelebile negli occhi e nelle orecchie e il sapore di un piacere proibito che sarebbe rimasto per sempre.