Cadevo nel fiume, ero adulta, ero bionda. Un uomo era di fronte a me, mi aveva salvato.

Solo crescendo mi sono resa conto con sgomento che le immagini viste in sogni ricorrenti, intrisi di angoscia, appartenevano a un film guardato più e più volte sullo schermo di casa.

Non ne ricordavo la trama, non l’avevo capita. Nei sogni, e nella memoria, solo frammenti: la spirale su una nuca bionda, una missione spagnola, le scale. La potenza di Hitchcock, l’evidenza e l’enigma.

“Abbiamo dimenticato perché Joan Fontaine si sporga sul ciglio della scogliera e cosa Joel McCrea se n’andasse a fare in Olanda (…) ma ci ricordiamo di un bicchiere di latte, delle pale di un mulino, di una spazzola per capelli” – ho meditato, da adulta, le parole di Jean-Luc Godard.

L’origine della mia domanda verso il cinema si trova lì. Immagini che – come infinite altre – mi pungono, e mi sfuggono; che accendono il mio desiderio, seguendo traiettorie che mi appaiono ancora oggi misteriose.

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