Questo fotogramma segnala il movimento finale del film, culminante nel celebre piano-sequenza in cui la macchina da presa si sofferma sul mezzo primo piano di May Lin scossa dalle lacrime, dopo averla vista camminare in un parco cittadino ancora in fase di costruzione, irto di zolle dissestate, cavi a vista e virgulti imprigionati (o tenuti in vita?) dai loro sostegni. Come lancette d’orologio, il suono dei suoi tacchi scandisce il risveglio di Taipei, immersa ancora in un’alba bluastra e silenziosa.

In un istante ho compreso che la forza poetica di un’immagine poteva animare anche la rappresentazione dell’azione più ordinaria, consumata nella sua durata reale. Mentre i singhiozzi di lei crescevano d’intensità e minime variazioni di luce tingevano il suo volto, ho avvertito il peso e il richiamo di un abisso vertiginoso. In un denudamento reciproco, ho abbracciato la sua solitudine e il calore di una promessa d’amore imperituro per il cinema si è sprigionata.