Il colore del melograno
La scintilla nasce da quel mondo in cui sembra non esserci la prospettiva, senza punti di fuga geometrici ma intessuto di fughe arcaiche, tappeti evocativi colmi di fiori e di colori, di arazzi e strumenti musicali, fluidi sanguigni e pose ieratiche. Siamo alla fine degli anni ottanta – o all’inizio dei novanta? – sono a Pennabilli – o a San Marino? – il ricordo si confonde nel clima dei seminari tenuti da Tonino Guerra, anch’io vittima di un esotico senso di vertigine per quel fiume di simboli e di immagini che hanno la concretezza del sogno, dense di sacrifici animali e languidi sguardi in macchina. Un’esperienza visiva ipnotica, quadri autarchici di un cinema scolpito e pittato, privo di dialoghi ma con le musiche tradizionali a tessere la biografia poetica di Sayat-Nova, trovatore armeno del XVIII secolo. In quella sacra alchimia cinetica, esterna ai dogmi dei generi, sento una libertà che mi ammalia e mi emoziona e mi getta nel felice sconforto dell’immensità del cinema.