Il 1999 fu un anno strano, per ovvie ragioni connesse alla fine del Millennio. Matrix, il film girato dai fratelli (ora sorelle) Wachowski, uscì quell’anno. Ricordo che lo vidi a Milano, durante una delle mie scorribande adolescenziali. E ricordo anche lo stordimento quando lasciai la sala: che cosa avevo appena visto? Un film d’azione, citazionista, filosofico, sperimentale? Negli anni successivi avrei capito che Matrix era tutte queste cose insieme: la tecnica del bullet time fusa alla computer graphics avrebbe creato un precedente estetico paragonabile, per impatto sulla cultura visuale di massa, agli Horses in motion di Muybridge; grazie al film avrei scoperto i simulacri di Jean Baudrillard; l’ipotesi che un cervello potesse funzionare senza il corpo (anzi, la sua smentita) sarebbe stato il mio primo grattacapo cognitivista; l’idea che la tecnologia si ibridi coi corpi avrebbe definito la mia ricerca accademica.

L’ho amato per molto tempo. Decisamente, un film de ma vie!