Se lo sport professionistico come lo conosciamo si è plasmato sull’influenza esercitata dai media audiovisivi, e in particolare della televisione che in larghissima parte lo finanzia (pagando i diritti e dilatandone la popolarità), è vero anche il contrario. Fin dalla sua nascita, la televisione si nutre dello straordinario appeal dei grandi eventi sportivi. Superbowl, Olimpiadi, Gran Premi di Formula 1… Ma in Italia c’è uno sport che cannibalizza tutti gli altri, il calcio, e fra gli eventi calcistici ce n’è uno in particolare che risulta straordinariamente ecumenico: la partita degli Azzurri durante i grandi tornei internazionali (Mondiali ed Europei), capace ancor oggi di catalizzare l’attenzione di uno share tra il 60 e il 70%, tra tv generalista e piattaforme assortite.

24 gennaio 1954, Milano. Italia-Egitto 5-1

La Rai ha inaugurato le trasmissioni da pochi giorni. Gli apparecchi televisivi sono ancora un esotismo per pochi privilegiati, ma già si pone un problema di contenuti che facciano capire le potenzialità del mezzo. Benché non ci sia un contratto con la Federcalcio, il governo autorizza la telecronaca della partita contro l’Egitto, valevole per le qualificazioni ai mondiali che si terranno in Svizzera quella stessa estate. Dopo la tragedia di Superga, il calcio italiano è nel caos, perciò alla guida degli azzurri c’è addirittura un triumvirato, composto dall’ungherese Lajos Czeizler e da due eroi del calcio mussoliniano come Angelo Schiavio e Silvio Piola. Così, per commentare una strana telecronaca a singhiozzo, vengono chiamati tre diversi giornalisti che si alternano nelle finestre sulla partita: Carlo Bacarelli, Nicolò Carosio e Vittorio Veltroni. La sintesi diffusa nelle sale dalla Settimana Incom la racconta come un’epica disfida, ma si capisce benissimo che i poveri egiziani, dopo un primo tempo finito in parità, vengono schiantati molto più dal gelo di San Siro (ampiamente sotto zero, con cumuli di neve a bordo campo) che dagli azzurri. I quali, infatti, riusciranno a perdere per ben due volte con la Svizzera ai mondiali, nel giro di sei giorni: la seconda volta per 4-1, senza vedere palla, e ogni riferimento a fatti recenti è puramente casuale.

17 giugno 1970, Città del Messico. Italia-Germania 4-3

El partido del siglo, solo per confutare la celebre frase di Gary Lineker, secondo cui “il calcio è un gioco semplice: 22 uomini rincorrono la palla per 90’ e alla fine vince la Germania”. Allo stadio Azteca, quel pomeriggio, non andò così. In realtà, a causa del fuso orario, in Italia era notte fonda quando nel primo dei due minuti di recupero, definiti da Nando Martellini una concessione esorbitante, l’Italia si fa rimontare da Schnellinger il gol di Boninsegna, segnato all’inizio e difeso con un catenaccio epocale. Nei supplementari, complice la stanchezza – nonostante i ritmi, secondo gli standard attuali, siano da partita fra scapoli e ammogliati – succede di tutto, fino al gol di Rivera che chiude sul 4-3 al 111’. Partita piena di errori, ma fulgido esempio di come un match possa diventare l’apoteosi del “popular male melodrama”. In finale troveremo Pelè e Jairzinho, e sarà tutta un’altra storia, ma il trionfo sui tedeschi era già entrato nella leggenda.

3 gennaio 1981, Montevideo. Italia-Uruguay 0-2

Dal punto di vista sportivo, si tratta di un evento del tutto insignificante. Il torneo, definito Mundialito (ma quello vero era un mondiale per club di tutt’altra natura), era un trofeo di cartapesta, voluto dalla dittatura uruguagia per sviare l’attenzione dall proprie malefatte, ed era stato giustamente snobbato dall’Inghilterra. La FIGC accetta per pure ragioni economiche ma, dopo la partita (un bruttissimo incontro di wrestling, segnato da truffe arbitrali che fanno saltare la mosca al naso a Tardelli che si produce in una entrata criminale e si fa espellere), Bearzot dichiarerà che era meglio restare a casa. Non la pensava così Silvio Berlusconi, che compie un’azione spregiudicata, si dice sponsorizzata dalla P2, e acquista i diritti della Nazionale, trasmettendola per la prima volta su frequenze diverse da quelle costituzionali della RAI. Questa violazione di un sacro matrimonio, durato quasi trent’anni, è la lapide definitiva sul monopolio della TV di Stato.

5 luglio 1982, Barcellona. Italia-Brasile 3-2

Se il match allo Stadio Azteca ha dato vita a un film di Andrea Barzini, se il Mundialito ha ispirato un bel libro di storia dello sport firmato da Andrea Bacci, la bibliografia su Italia-Brasile è sterminata e culmina con un tomo definitivo (La partita), scritto da Piero Trellini, che in oltre 600 pagine dimostra come l’intera storia del Mondo sia stato un susseguirsi di eventi il cui scopo ultimo era convergere sul pomeriggio del Camp Nou. Più che una storia di riscatto o di rivincita, quella scritta da Zoff e compagni, sotto l’amorevole supervisione di Bearzot e Pertini, è un racconto di resurrezione. E’ un momento di passaggio importante, non solo per il paese e per la Nazionale (il calcio super-etico di Bearzot sarà presto sostituito da quello super-atletico di Sacchi), ma anche per il modo di fare sport in televisione. Nando Martellini in telecronaca, ma anche Enrico Ameri e Sandro Ciotti alla radio hanno un sapore antico, compassato e familiare, da 90° Minuto, ma sono già al canto del cigno nel momento del trionfo. Paraltro, quelli dell’82 sono i primi mondiali in cui tutta Italia vede gli azzurri veramente azzurri. Già Argentina ’78 consentiva questa possibilità, ma coloro che disponevano di un apparecchio adatto erano una netta minoranza, visto che la RAI aveva iniziato a trasmettere a colori solo un anno prima, con ben 23 anni di ritardo sugli Stati Uniti…

17 luglio 1994, Pasadena. Italia-Brasile 0-0 (2-3 dcr)

Se a Barcellona un’Italia antica e fin lì fallimentare aveva miracolosamente sconfitto, grazie all’astuzia di un redivivo Paolo Rossi, il più bel Brasile di tutti i tempi (sì, l’affermazione è azzardata, ma se guardiamo la formazione si tratta di un giudizio motivato), quella talentuosissima e autorevole di Arrigo Sacchi darà vita a un match orrendo, nel caldo torrido californiano, contro un Brasile che – Dunga e Romario a parte – non era mai stato così mediocre, ma d’altra parte consapevole di esserlo e disposto a soffrire. A malapena, nei 120’, si assiste a un tiro in porta per parte. Poi i calci di rigore, che erano stati introdotti nel 1970, proprio a testimonianza del crescente potere televisivo nel plasmare le forme dello spettacolo calcistico. Saranno una lotteria crudele, ma vuoi mettere la suspance televisiva di quella lunga camminata dal centrocampo al dischetto, intramezzata dai primi piani del portiere che saltella sulla linea di porta, come in un film di Sergio Leone? Per la cronaca, ci sarà l’errore di Baggio, il Divin Codino, che si porterà dietro quella maledizione fino alla fine dei tempi, anche se in realtà avremmo perso lo stesso (dopo gli errori di Massaro e Baresi eravamo comunque sotto e, anche se Baggio avesse segnato, al Brasile bastava realizzare l’ultimo penalty).

9 luglio 2006, Berlino. Italia-Francia 1-1 (5-3 dcr)

Di nuovo, dopo l’82, arriviamo ai mondiali con le stimmate di un movimento in crisi etica ed economica, segnato dal fallimento fraudolento di diversi club di vertice (Parma, Lazio…) e da uno scandalo arbitrale (l’affaire Moggi) che porterà a una rivoluzione di tutto il sistema calcistico, inaugurando una fase certamente non positiva (basta vedere il numero di Champions League vinte dalle italiane negli ultimi 15 anni) che dura ancor oggi. Ma l’Italia di Lippi può comunque contare su alcuni campioni (sia pure sul viale del tramonto), sull’esperienza coraggiosa del CT e su uno spirito di squadra davvero encomiabile. L’emblema è Marco Materazzi, fisico da granatiere, piedi di balsa, pezzo di pane nella vita e bastardo dentro quando scende in campo. Non è mai stato definitivamente chiarito cosa abbia detto all’elegantissimo capitano della Francia, fatto sta che Zineddine Zidane, con la palla a 80 metri di distanza, si volta, torna indietro e prova a dargli una testata sul naso. Materazzi è un gigante e Zidane lo colpisce al petto. Chiunque abbia visto una partita di rugby o Materazzi senza maglietta, sa che al massimo può avergli fatto il solletico. Ma i codici calcistici nella segnalazione del dolore fisico somigliano a quelli del cinema muto, quindi il buon Fabio crolla a terra, come fulminato dal raggio della morte. Ma il gesto è brutto e Zidane viene giustamente espulso, mettendo la partita in netta discesa per l’Italia. La cosa importante, televisivamente parlando, è un’altra. La palla era altrove e Zidane non era un cretino. Non c’è una sola persona – incluso il regista – che abbia visto in diretta la testata, tranne i due interessati e forse Buffon, che era dietro di loro. Ergo, sia pure non ufficialmente, l’espulsione di Zidane è stata la prima decisione presa da quello che si chiamerà VAR, ovvero ex-post, su segnalazione di qualcuno che ha visto le immagini del replay di una telecamera secondaria. Da quel momento, ogni partita di vertice diventa una realtà aumentata, ovvero un evento in cui la dimensione performativa e quella televisiva sono strutturalmente integrate.

11 luglio 2021, Londra. Italia-Inghilterra 1-1 (4-3 dcr)

Già ai Mondiali del 2006 la telecronaca Sky di Fabio Caressa e il suo “e allora diciamolo tutti insieme, quattro volte, siamo campioni del mondo…”, per molti italiani, era stata la chiusura di un mondiale trionfale assai più de “il cielo è azzurro, sopra a Berlino”, pronunciato da un mesto Marco Civoli dai microfoni della RAI. In questo caso, lo strapotere di Sky nel gestire la manifestazione è un fatto assodato, ma la cosa davvero interessante è che l’Europeo inglese costituisce la ripresa del calcio in forma mista dopo un anno e mezzo in cui era stato un puro spettacolo televisivo, giocato in favore di telecamere all’interno di stadi completamente vuoti. Come purtroppo ben sappiamo, il maledetto Atalanta-Valencia del 19 febbraio 2020 era stato un drammatico vettore di contagio e per molto tempo era stata inibita la presenza di spettatori in qualsiasi manifestazione sportiva, ciò che aveva condotto al rinvio di Europei e Olimpiadi. Sebbene il Covid facesse ancora vittime e ci fossero polemiche e perplessità, le immagini degli stadi inglesi pieni di spettatori sono il primo potente spot di un mondo oltre il Coronavirus. La vita che torna alla normalità, dopo la tragedia globale. Ironia della sorte, il momento più iconico della manifestazione sarà l’ultimo abbraccio tra Mancini e Vialli, fratelli nel gol e nella vita, una dimostrazione commovente di affetto sincero nel mondo patinato dello sport-spettacolo, sul quale si intravede la sagoma bergmaniana del Tristo Mietitore.