“È piuttosto il cinema che fa una specie di sperimentazione su di me, venendomi incontro”. Le parole di Jean-Luc Nancy sintetizzano il mio primo confronto con l’inquietudine esistenziale che permea dallo sguardo denudato di Katherine Joyce, protagonista di Viaggio in Italia (1954). Lo statuto equivoco dei dialoghi, basati sul non detto, trova nello sguardo il nucleo più intimo, la verità celata, il senso di abbandono, la paura ma anche il desiderio di ricominciare. Nel tortuoso percorso tra un’apparente coscienza e un inequivocabile smarrimento, lo sguardo luminoso della donna investì la mia attenzione nella sequenza girata al tempio di Apollo: ferita nell’animo e con i capelli scompigliati, è costretta a indossare gli occhiali -dispositivo al contempo di protezione e di distacco dal reale- per passeggiare tra le rovine; ma soprattutto per volgere uno sguardo all’altrove, verso il mare. Ha avuto inizio qui il mio percorso di incontro, con il cinema.