Verso la fine di Film rosso il giudice racconta di un libro cadutogli giù dalla galleria di un teatro, anni prima. La cinepresa compie allora un movimento a ripercorrere la traiettoria di quella caduta: un evento passato si imprime così nella coscienza, e diventa presente.

Nel 1994 ero uno studente di liceo. Tornai più volte a vedere questo film sulle relazioni e sulle coincidenze; mi colpivano certe atmosfere, la nitidezza dei suoni, le variazioni sul rosso, le espressioni sui volti. Ma ricordo soprattutto un particolare tipo di sintonia: percepivo una qualità transitoria della luce, e poi qualcuno nel film diceva «c’è una bella luce», confermando quella sensazione; intuivo il senso della casualità dei destini, e puntualmente qualcuno si chiedeva «cosa sarebbe successo se…?».

Già alla prima visione mi pareva di aver imparato una lezione semplice e potente: il cinema tratta con efficacia grandi temi solo se ci consente di sperimentarli, e di diventare consapevoli di quell’esperienza.