Non sempre l’amore per il cinema nasce al cinema. Può essere un incontro fatto in Tv. La stangata, un prodotto della nostalgia hollywoodiana trasmesso più a lungo di altri, forse, dalla nostra televisione, colpisce – o per lo meno colpì la sottoscritta, che non poté vedere il film in sala – per certi effetti d’ambiente che sovrastano il perfetto congegno narrativo. E non è l’accuratezza della ricostruzione storica. E’, al contrario, un principio di stilizzazione, un gusto per il gioco, un piacere del travestimento che certo provarono Paul Newman e Robert Redford, ritratti straordinariamente belli della vitalità scapestrata di un’epoca, quella d’oro del cinema. Parlo dei costumi di una campionessa del design classico, Edith Head, la quale afferma con orgoglio in Dressed. Hollywood Costume Design che quel Costume Award fu il primo attribuito a un film declinato al maschile. Berretti irlandesi e completi da uomo, bretelle e Borsalino: costumi, a tratti chiassosi, informati a un gusto del falso cinematografico. Uno stile senz’altro romantico, un dandismo in chiave hollywoodiana. La passione di chi scrive per gli anni Trenta americani fu avvinta a quelle forme, a quella gamma di colori usati tra la fine dei Sessanta e i Settanta per rappresentare un mito nazionale: un individualismo scanzonato e chic. Il passo successivo fu un’icona femminile, altrettanto spregiudicata, la Bonnie di Arthur Penn, avvolta di glamour, in tailleur e abiti tagliati di sbieco, e la serie di irresistibili baschi portati sulle ventitré. Faye Dunaway, gloriosamente vestita da un’artista nascente di nome Theadora Van Runkle, non fece che confermare che Hollywood significa soprattutto bellezza.