“That’ll be the day!” è l’usuale risposta di Ethan a chi osa dubitare di lui. Il suo non è un carattere soggetto al cambiamento, nessun evento smuove il ferreo senso del dovere che lo guida. Non ci si può arrendere, non si modificano le missioni, non si fanno passi indietro. Il razzismo del personaggio è drastico quanto le scelte di vita, la solitudine o il fatto che la promessa di fedeltà si possa fare ad una sola bandiera.

Eppure, tutto ciò viene spazzato via da un gesto—ripetizione di un gesto—che mi ha sempre colpito per la sua semplicità: Ethan prende in braccio la nipote Debbie e sente di non poterla uccidere. “Afferra le persona non l’idea” scrive Gallagher. L’odio e le antiche credenze spariscono in un momento decisivo, in cui si esaltano qualità universali. Solo più tardi mi sono resa conto di quanto il film sia tutto costruito sull’idea di replica e cambiamento, e di come l’intera trasformazione possa stare in un’unica immagine, così familiare e travolgente.

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