La prima lezione di Storia del cinema da studentessa coincide con la vertigine  dell’estremo film di Pasolini, un’opera devastante per chi (come me) la guardava senza alcun preavviso, come esercizio propedeutico. Nel freddo di una delle celle del Monastero dei Benedettini abbiamo resistito in pochi all’oltranza delle immagini pasoliniane, ma chi è rimasto ha potuto comprendere la necessaria spudoratezza di quel viaggio all’inferno e ricavarne un’impressione unica, assoluta. L’esperienza-limite della visione di Salò vale a chiarire non solo la peculiarità della parabola artistica pasoliniana (che qui raggiunge un paradigmatico equilibrio formale), ma mostra altresì quanto il cinema – nelle sue manifestazioni più alte – implichi la piena partecipazione dello spettatore, chiamato a prendere posizione, a interrogarsi sul nodo inestricabile fra vedere e potere. Il cannocchiale rovesciato con cui i tre signori osservano la strage resta per me una delle più acute metafore della settima arte.