La mia scintilla scoccò alla fine di un film che aveva tenuto in tensione tutta la sala. Che era esaurita. Avrò avuto diciassette anni, metà degli anni Settanta. Il film era Psycho, la sequenza quella della scoperta della madre di Norman. Un’inquadratura, poi altre tre, infine un’emozione collettiva. Due momenti fecero scintillare il cinema: quell’inquadratura in cui Lila, appena entrata nella cantina, vede una donna seduta di spalle, e l’immagine è come invasa dalla lampadina, da una lampadina impossibile il cui bulbo è più grosso della testa della madre, illuminata peraltro in maniera irreale. Come se il cinema stesse “sopra” la storia che vedevo, la fulminasse; e il momento in cui si rivela il vero volto, scon-volto, della madre di Norman. Momento in cui tutta la sala, forse trecento persone, collettivamente e senza eccezioni saltò sulla poltrona. Il cinema era questo: riempire gli occhi con un’immagine e il cuore con un’emozione.