Marta (Melato) scende dalla carrozza e resta sulla banchina a osservare il treno in partenza che avrebbe dovuto condurla a Roma. Il suo corpo è immobile e il suo sguardo è vacuo come quello di chi guarda senza vedere, di chi ha fatto qualcosa d’improvviso, proibito e liberatorio e non vuole ancora mettere a fuoco le conseguenze di quell’azione. Le volte esterne di Milano Centrale sullo sfondo lasciano passare un lieve e diffuso controluce che definisce i contorni di una silhouette fasciata da un tailleur bianco. La décolleté col laccetto alle caviglie non si vede ancora, ma irrompe dal fuoricampo. Marta poi si gira, guarda quasi in camera, ma non proprio. Di lì a poco incontrerà Werner (Ganz).
L’intreccio oggi mi appare deludente ma quest’immagine mi è rimasta in testa nel tempo a ricordarmi il potere del cinema di ricreare per lo sguardo dello spettatore una scena, intesa come spazio al cui interno un corpo si muove senza che necessariamente qualcuno parli, rendendola memorabile.

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