A Padova, negli anni ’80, Brunetta e Tinazzi proiettavano i film nella mitica aula C. Lì vidi la prima volta il capolavoro di Vertov e provai un senso barbicato d’inadeguatezza nel comprendere un film realizzato fondendo sperimentazione a radicato coinvolgimento ideologico. Dal 1989 al 2008 il film ha generato in me una continua rielaborazione interpretativa, attraverso la visione di copie sempre nuove in vari formati e accompagnate da colonne sonore camaleontiche: ogni volta era la nuova visione di un corpus d’immagini mai identificabile con un “prima”, ma legato a un “poi”. Col passare del tempo il film assunse una sua nitidezza, la conquista di un’esegesi personale che lega l’originale idea del suo (primo) autore a te (nuovo) autore, fino a fondersi in un’unica performance e a generare L’uomo con la macchina da presa 2, film realizzato insieme a una sessantina di Kinoki del Laboratorio di videoscrittura del Dams di Padova (2009). La cosa strana è, che anche dopo una fatica tanto assurda, il film di Vertov in me macina ancora… macina, macina …

 

 

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