L’eclisse
L’incontro folgorante – avevo meno di vent’anni – dura appena 38 secondi. Due inquadrature sufficienti per intensità audiovisiva a restarmi nel cuore. Chiudono la sequenza finale de L’eclisse di Antonioni, popolata solo da luoghi, luci, ombre, persone, cose, suoni che avrebbero potuto testimoniare un ritrovarsi serale tra Vittoria e Piero che, sappiamo già, mai avverrà. Cosa accade? Il gesto panoramico verso destra che, dall’edificio immerso magrittianamente nel buio eccetto la base, conduce all’allineamento dei lampioni visti in profondità quindi al primissimo piano di uno di essi. Un transito scalare, musicalmente, che parte da un piano e va in crescendo, con una dilatazione progressiva delle durate e un breve stacco che precede un lungo e violento vibrato finale concluso da un fortissimo secco, in corrispondenza del quadro al nero con la scritta “Fine”. Scritta entrata quando ancora era raffigurato il lampione e che a quel punto e solo a quel punto scompare: buio/luce/cinema!