Sarebbero arrivate poi, con gli anni universitari, altre epifanie, ma devo confessare che il primo film de ma vie non è frutto di una passione cinefila. Avevo quindici anni quando mi riconobbi nei coetanei Neil e Todd, l’uno appassionato di teatro, l’altro così timido da non parlare in pubblico. E invidiavo la sicurezza sbruffona di ‘Nuanda’, agognando un docente che, come John Keating, sapesse salire in piedi su una cattedra.

Oggi che sono ‘prof’ e che non strapperei mai e poi mai la pagina di un libro, un po’ me ne vergogno di quella cotta per L’attimo fuggente. Eppure, anche se i successivi trent’anni mi hanno dato accesso a tutt’altre visioni, svelando l’ingenuità di quello sguardo, c’è ancora un po’ di me-studioso nella società dei poeti estinti: il piacere della scrittura e l’attenzione alle pratiche della literacy certo, ma direi soprattutto il dovere della «prossemica», ovvero di scegliere come collocarsi nello spazio per relazionarsi con il mondo.

In una sequenza di passaggio, Keating chiede ai suoi allievi di camminare liberamente in un cortile. Ecco, un po’ a sorpresa, ora mi riconosco nella scelta di “Nuanda” che «esercita il diritto di non camminare». Non per anticonformismo, ma perché talvolta fermarsi aiuta a capire dove meglio posizionarsi in base al modo in cui le immagini (e gli altri) si muovono attorno a te.