È il potere di uno sguardo che ha segnato la mia passione per il cinema e il suo oltre. Si tratta dell’occhio aperto sott’acqua del capitano del film L’Atalante di Jean Vigo, che vede apparire come in un déjà-vu il volto sorridente della sua giovane sposa. Questo sguardo rivolto verso la macchina da presa ostenta una forma di interdizione della percezione, emblematica dell’avanguardia tout court, e, allo stesso tempo, simboleggia la ricerca speculare di un regista che si spinge fino al fondo ultimo delle immagini per scoprirne un’epifania.

Questi occhi che coabitano con la figurazione del proprio desiderio amoroso sono nella mia memoria un faro poiché ostentano il paradosso di un cinema simultaneamente trasparente e veggente, che intende lo schermo cinematografico come bordo terminale della visione e portale d’accesso per nuovi stati di percezione: iperbole di un gesto infantile che, ponendo una cornice di vetro davanti agli occhi, inquadra il mondo e ne amplifica contorni e sfumature.