Nell’arco della mia vita ho avuto tanti incontri straordinari con il cinema, ma la maggior parte di essi hanno avuto luogo in momenti in cui avevo già deciso quello che avrei fatto, ovvero trasformare una mia passione in un percorso di vita. Tornando indietro nel tempo vorrei ricordare quello che è stato invece l’incontro seminale con quella sensazione sinestetica che solo la visione di un grande film in sala è in grado di produrre.  Gennaio 1987, avevo undici anni e mezzo, mia madre era ricoverata da mesi in ospedale e stava morendo. Tutti i fine settimana, la sua più cara amica mi portava al cinema, per farmi passare due ore di svago. Una di quelle domeniche pomeriggio, di fronte a La famiglia di Ettore Scola, ebbi una folgorazione estetica: ogni passaggio da un decennio all’altro era scandito da un carrello ricorrente che attraversava il lungo corridoio della ricca dimora del quartiere Prati, accompagnato dalle note nostalgiche della musica di Armando Trovajoli. Per nove volte si ripeteva questo avvolgente movimento di macchina accompagnato dal leit-motiv musicale, per nove volte sulla pelle ancora infantile incominciai a sentire per la prima volta quella pelle d’oca che in seguito avrei provato, sentendolo sin nelle viscere, sentendo il cinema addosso, nel corpo e sulla pelle, sensazione magica, indescrivibile, preziosa, rara.