Un tempo e un luogo sospesi. Un uomo, una donna e un bambino uniti da una ferita personale ed esistenziale straziante. Le immagini de La Cicatrice Intérieure, costruite quasi come tableaux vivants, ci immergono in un universo archetipico fatto di elementi e figure primordiali, di posture e gesti simbolici.

La corposità della grana visibile della pellicola è lì a ricordarci al contempo la finitezza e l’opacità del reale. Siamo in bilico continuo tra la fissità e la densità delle immagini e la spinta, mai totale, verso la narrazione. All’improvviso la voce di Nico irrompe nel silenzio, e in un attimo ci rimanda a un preciso universo culturale e visuale e a un’epoca artistica, quella della fine degli anni Sessanta del Novecento, fatta di provocazioni e inquietudini, proprio come il cinema di Garrel. Quando il film termina si ha l’impressione di abbandonare una dimensione onirica e di aver ripercorso, in poco meno di un’ora, la storia dell’arte e del cinema.