Ero una ragazzina quando vidi per la prima volta Io la conoscevo bene di Antonio Pietrangeli e mi ammaliò la bellezza della giovanissima Adriana (S. Sandrelli), che illuminava l’universo ordinario creato dal regista. Il corpo di Adriana, conteso dal desiderio febbrile degli uomini e trascinato da una inerzia grigia e informe, abitava un personaggio vacuo, senza storia, privo di aspirazioni. Altre visioni e qualche lettura mi avvicinarono in seguito a Pietrangeli, al suo sguardo mitopoietico, alle sue donne e ai suoi virtuosismi. Con il passare del tempo, Adriana che si trucca cantando E se domani di Mina o si appoggia alla finestra, mentre il giradischi suona Mani bucate di Endrigo, sono diventate sequenze emblema di una angoscia che si fa corpo, di un vuoto che si maschera davanti a uno specchio. Pur riconoscendo l’ineluttabile necessità del destino di Adriana, ogni volta, dopo il suo salto repentino e tragico, spero di vederla riapparire sulla scena, china sul giradischi inceppato

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