Sono abbastanza vecchio da aver composto il mio primo articolo picchiando sui tasti di una macchina da scrivere. Era il 1989. Il pezzo si intitolava Mito e storia nel western di Sam Peckinpah. Ero al secondo anno di università e Peckinpah lo avevo scoperto molto tempo prima, quando andavo alle scuole medie, grazie a mio padre, che una sera mi portò a vedere Il mucchio selvaggio in un cinema di seconda visione. L’home video era alle porte, ma per il momento la vita dei film, in sala, continuava a essere lunga. Sarà stato il 1981. Il Mucchio selvaggio era uscito da più di dieci anni, e in Italia ancora circolava. Certo, la pellicola era logora, così logora che a un certo punto si ruppe, e dovemmo aspettare parecchio perché la proiezione potesse riprendere. Ma Il mucchio selvaggio mi aveva già conquistato, prima ancora di vedere l’epica battaglia finale tra i gringos e gli uomini del generale Mapache, sin dalla sequenza di apertura, con i bambini che osservano sadicamente la lotta tra gli scorpioni e le formiche rosse, e quel “Chi si muove è morto”, che William Holden mastica tra i denti mentre terminano i titoli di testa. Ancora non lo sapevo, ma c’era tutto quello che poi mi avrebbe interessato nei film: un’idea di cinema come grande spettacolo, insieme alla capacità di ragionare sul mondo, con uno sguardo al contempo lucido e poetico.

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