Nero. Silenzio. Una lama di luce taglia l’inquadratura: una porta si apre su uno sgabuzzino dove una donna sta dormendo. “Dottoressa Lewis, un’emergenza!”. La donna è in piedi in un attimo,  entra nella luce violenta di un corridoio di ospedale.

La telecamera sembra impazzita. Precede una barella, poi la segue fino alla stanza del primo soccorso e comincia a girare in tondo, senza stacchi, inquadrando i medici che agiscono rapidi in una cacofonia di termini tecnici e suoni angoscianti.

Era il 1996, prima puntata italiana di ER – Medici in prima linea. Il medical drama non è stato più lo stesso, e neanch’io, giovane studiosa di televisione. L’anno dopo a Los Angeles ho visitato il piccolissimo set, reso gigantesco dalla magia della steadycam; ho visto George Clooney, che ancora non era George Clooney ma già si capiva che lo sarebbe diventato. Ho sperimentato il fascino del backstage e ho avuto la certezza che le serie tv fossero una questione molto seria.

Tutto per me è cominciato lì.