Primavera 1983, frequento il liceo. La mia passione per il cinema è già sorta, alimentata forse anche dal ricordo di alcune esperienze emotivamente coinvolgenti vissute da bambino come spettatore, ma esplode assistendo a una rassegna di film diretti da Luis Buñuel. In particolare, rimango folgorato da Él (Lui, 1953), girato in Messico, di cui un po’ confusamente percepisco l’elevato potenziale sovversivo, nascosto dietro le apparenze di un innocuo mélo familiare. A colpirmi non sono solo lo splendido incipit o il finale, uno dei più angoscianti dell’intera storia del cinema. Ma vi è anche la sensazione che questo film costituisca un invito a coltivare una visione non univoca della realtà, fondato – com’è – su uno sguardo profondamente etico, volto a smascherare il divario esistente tra la manifestazione apparente delle cose e la loro natura più profonda. Per me è uno choc salutare. Qualche anno dopo mi laureo in Lettere moderne con una tesi dedicata proprio al periodo messicano di Buñuel.