Mi ricordo, sì, io mi ricordo. E come si fanno a dimenticare gli occhi di quel bambino, Pawel, quel volto, la sua espressione tra curiosità e innocenza che Krzysztof Kieślowski riuscì a filmare in tutta la sua immediatezza naturale nonostante l’artificio. Qui forse si annida uno dei prodigi del cinema, la sua “logica della sensazione”, che porta i nostri occhi all’unica prossimità per noi possibile alle cose. Ero adolescente e mi trovavo in un’aula del mio liceo, insieme ai miei compagni di classe, durante ore integrative di filosofia. Per me fu lì “il primo incontro” e si tradusse in una rinascita continua che non ha mai smesso di rinnovarsi giovane, film dopo film. Quelle immagini mi presero e mi portarono via con loro. E non mi hanno mai abbandonato come tutte quelle che sono venute poi. Quell’esperienza visiva iniziò a trasformarmi in uno spettatore, proprio come l’astronauta kubrickiano, alla ricerca di nuove sequenze da aggiungere al suo “blob”, tutto da tagliare e montare di continuo, da rivedere e da far vedere. Bis ans Ende der Welt.

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