È l’alba e la 5th Avenue è deserta. Elegantissima, vestita di un tubino nero che farà storia, una donna cammina lentamente sorseggiando un caffè americano. Scopro Audrey Hepburn per la prima volta. Le musiche di Henry Mancini la accompagnano fino alle vetrine di Tiffany & Co., il posto in cui Holly cura le sue paturnie.

Il mio posto, invece, è sempre stato la sala cinematografica e, faute de mieux, un piccolo schermo di un qualche tipo. La storia dei film della mia vita inizia da bambina, da qualche parte sulle ginocchia di mio padre, guardando uno dei suoi amatissimi western oppure quando tutta la famiglia, nei giorni di festa, si riuniva per vedere in tv Gone with the wind (1939) o Little Women (1949).

Più tardi, dopo l’infatuazione per tutto ciò che era Hollywood, avrei scoperto, in una storica sala del Quartier Latin, un altro modo di usare la macchina da presa per riprendere un’altra camminata in tubino nero: quella di Cléo nel film di Agnès Varda (1962). Da lì, la consapevolezza definitiva di non poter ‘camminare’ senza il cinema.

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