Dietro le spalle di Blasetti. Collocati fra un cane, gli addetti ai lavori dell’infernale macchina cinematografica (Oggi, domani, mai: ora potrebbe essere il casting di un reality…), la folla di madri bramose e figlie già prontissime a “recità”, e di fronte alla gigantesca Magnani. E’ con Bellissima di Luchino Visconti (1951) che abbiamo provato a tramutarci da bulimici e sregolati cinefili, nutriti dalle cineteche (i film erano ancora difficilmente “reperibili”) e da decine di VHS, in apprendisti “analisti di film” e audiovisivi (al plurale: perché c’era un’intera classe stipata in aula Rotta, al terzo piano dell’Università Cattolica). Erano gli anni Novanta, non pareva vero “studiare il cinema” all’Università, apprendere efficaci, talvolta bizzarri concetti consegnatici come rivelazioni dalla tarda semiotica. Si finiva per apprendere raffinati strumenti che ci si sorprendeva di dimenticare completamente e gioiosamente quando – talvolta – si incontrava la meraviglia di un film.