Avevo pochi anni e all’epoca la TV era in bianco e nero e si guardava in cucina. Alla fine del film (per vederlo i miei genitori mi avevano permesso di restare alzato ben oltre Carosello) chiesi: “Ma è morto?” – “Sì”. 1995 – Parigi – la città festeggiava il centenario dell’invenzione dei fratelli Lumière. Ci ero arrivato come studente Erasmus da Padova, dove seguivo i corsi di Giorgio Tinazzi ed ero lì per quelli di Jacques Aumont e di Michel Marie. Fra l’uno e l’altro compulsavo Pariscope alla ricerca di economiche rassegne cinematografiche. La rivelazione giunge in una angusta saletta dove proiettano un ciclo dei film di Bresson, quel giorno Au hazard Balthasar, del 1966. Un asino che trasporta refurtiva di contrabbando è colpito dagli spari delle guardie di frontiera. Si corica in un prato, la luce dell’alba sembra accarezzarlo, un gregge di pecore gli fa corona. Muore. Fine. Proprio come quella volta, tanti anni prima. La passione di Balthazar si era conclusa. Cominciava la mia.