Archigram (Regno Unito, 1966). Un film per la tv dal singolare immaginario pop-tecnologico firmato (con Denis Postle) dagli Archigram: tra i pionieri dell’Architettura Radicale internazionale, autore di utopie urbane (come Living City, Plug-in City, Walking City) che contengono i geni di un universo integrato attraverso arte, media, infrastrutture e scienza (addomesticata al gusto di massa). Nelle sequenze, il gruppo britannico fa convivere riferimenti alle subculture degli anni ’60, alla science fiction, ai linguaggi visivi contemporanei (le atmosfere profetizzate dal Futurismo, i prelievi Dada, i montaggi surrealisti, le icone pop), ai progetti visionari di Buckminster Fuller e Kiesler. Per il team di architetti-registi, le immagini in movimento sono oramai le uniche in grado di interpretare e costruire i nuovi scenari dentro e fuori lo schermo, consapevoli che: «La pagina stampata non è più sufficiente», «idee e situazioni ora implicano movimento e sequenze che necessitano del film» (Network, in “Archigram”, n. 7, 1967). Ho conosciuto questo “manifesto televisuale”, andato in onda sulla BBC, in un’aula di Architettura. Per me, in seguito, tutto è cambiato.