Mentre Jim Morrison canta The End, lo sguardo è avvolto e travolto dalle fiamme di un cinema assoluto e totale che sa farsi esperienza multisensoriale e, al tempo stesso, inno inquietante e seducente alla visione come ossessione e all’ossessione per la visione.

La tensione scopica trasforma l’orrore in bellezza e ridà inedita consistenza all’immagine, eletta da Coppola a unica possibile categoria interpretativa dell’uomo (fine)novecentesco e del suo posto in un mondo che, tre anni prima di Blade Runner, s’è già trasformato in incubo postmoderno.

Dissolvenze e sovrimpressioni restituiscono sullo schermo i disperati tentativi del regista-demiurgo di oltrepassare le porte della percezione (The Doors) per scavare a mani nude nel cuore di tenebra dell’Occidente, fino a sanguinare come Martin Sheen nel suo squallido albergo di Saigon. “This is the End, beautiful friend… This is the End, my only friend…”.