Sedersi al buio e diventare spettatori equivale a sperimentare una meraviglia capace di rinnovarsi un’inquadratura dopo l’altra. È così, credo, che si impara a guardare e il mio apprendistato ha beneficiato della cineteca paterna e di un cinema di provincia. Poi sono arrivato all’Università di Siena, dove ho frequentato il corso di Marco Dinoi e gli organizzatori del cineforum.
Un pomeriggio sono entrato nella sala cinema della Facoltà di Lettere a film già iniziato, attratto dal coro spettrale dei Popul Vuh. Il campo lungo con cui inizia Aguirre non ci svela il panorama da cartolina del Machu Picchu ma la discesa dalle nuvole dei conquistadores. Non esistono località esotiche nel cinema di Herzog ma momenti estatici, generati dall’impatto tra un’azione umana estrema e un ambiente smisurato.
Grazie ad Aguirre, il film con cui inizia il sodalizio tra il regista e Kinsky, il suo nemico più caro, ho compreso che il cinema è sempre la storia di un incontro che va oltre ogni previsione.